Per la gioia dei suoi fan, Paolo Bargagli ha raccolto in un libro gli spassosi aneddoti sul ping pong che ha pubblicato su Facebook nei mesi del lockdown.

Pier Offredi

UN PONGISTA ANTROPOLOGICAMENTE INTRIGANTE

Solo il ping pong poteva accomunare un raffinato intellettuale di sinistra, che ascolta Radio Popolare, Guccini, Bob Dylan, Joe Zawinul, le variazioni Goldberg suonate da Glenn Gould, legge Sartre e ama i quadri di Paul Klee, con un variopinto campionario di fascisti, megalomani, ladri, petomani, fallocrati, cocainomani e machi di periferia!
Conoscevo Paolo Bargagli solo per le sue imprese agonistiche, ma leggendo i suoi post su Facebook, selezionati a fatica tra i sempre più frequenti deliri no vax e le cronache surreali di Josè Ringressi (che l’algoritmo di Zuckerberg si ostina a propinarmi!!!), sono stato incuriosito dal suo stile a metà tra il letterario e il goliardico. Ho cominciato quindi a chiedermi, senza trovare risposta, come riuscisse ad amare (e quasi a far amare, attraverso i suoi racconti) personaggi che di solito occupano il ruolo di caricatura in qualche ridicola parodia da avanspettacolo.

PAOLO BARGAGLI TRA FILOSOFIA E CABARET

Dato che le amicizie su Facebook sono surrogati virtuali (l’amicizia sui social è come il sesso con le bambole gonfiabili…), non sono certamente amico di Paolo Bargagli, con cui non ho mai scambiato neanche una pallina sui tavoli di ping pong, al massimo qualche battuta nei post, in cui spesso scatena il dibattito tra i pongisti che rispondono alle sue provocazioni.
Sono stato quindi sorpreso quando ho ricevuto il suo libro “Più o meno gli stessi – Piccole storie di sport, di amicizia e di ragazzi che non mettono giudizio”, riservato a un centinaio di “eletti”, che potranno dire di avere in libreria un cult book millesimato come lo champagne “Louis Roederer Cristal”.
Paolo Bargagli (devo ripetere nome e cognome più volte, per rispettare le norme SEO previste da Google e contribuire così a far conoscere al mondo questo nuovo talento letterario) ha infatti deciso di stampare il libro in edizione limitata, scelta prudente onde evitare rogne burocratiche di ogni tipo, ma anche sapiente, per creare un oggetto di culto nel mondo del ping pong: probabilmente, visto che è un imprenditore informatico, sfrutterà le opportunità economiche offerte dalla tecnologia NFT (Non fungible token), che sta rivoluzionando anche l’editoria.

UN LIBRO ILLUMINANTE

Per conoscere psicologicamente e antropologicamente una persona, senza frequentarla direttamente, non c’è niente di meglio di un suo libro, per cui ho approfittato con piacere del dono e del privilegio, dovuto forse al mio ruolo di “influencer dei poveri del tennistavolo” (in un mondo di ciechi anche un orbo è un’aquila…), o forse al mio mestiere di editore, oppure perchè aveva esaurito la lista degli amici…
Ho quindi iniziato la lettura delle 224 pagine con l’occhio del critico, l’interesse del pongista e la curiosità dell’antropologo, tutte ampiamente soddisfatte, perchè ho trovato un lavoro editorialmente perfetto (i numeri di pagina all’interno della racchetta sono un vero tocco di classe!), in cui sono descritti in modo divertente e profondo profili di pongisti noti e meno noti.

PROFUMO DI VIGORELLI

Chi ha passato i migliori anni della propria vita nell’ammorbante atmosfera del Vigorelli, il centro culturale e sportivo del tennistavolo milanese, in cui è stata svezzata la “meglio gioventù” pongistica lombarda, ricorda con un misto di nostalgia e ribrezzo gli afrori e l’umidità di quello che avrebbe dovuto essere un tempio sportivo, ma che in realtà era la dimostrazione concreta, visiva e olfattiva, della marginalità e irrilevanza del tennistavolo nell’ambito sportivo.
Eppure noi, come Titta con la tabaccaia di Amarcord, non vedevamo l’ora di entrare in quegli spogliatoi maleodoranti e di giocare su quei tavoli bui e impregnati di umidità, ignari che in futuro qualcuno si sarebbe lamentato perchè in palestra “ci sono riflessi inaccettabili” oppure perchè “l’umidità ci fa perdere grip e partite…”.
Ebbene, sfogliando le pagine del libro di Paolo Bargagli (scusate la ripetizione del nome, ma Yoast pretende che le parole chiave siano ripetute più volte) si sente il profumo di Vigorelli, che per noi che l’abbiamo vissuto vale più di quello delle madeleine proustiane.

COMPASSIONE E GENTILEZZA

Ogni appassionato troverà nel libro di Paolo Bargagli tanti episodi famosi o ignoti sul ping pong, raccontati con stile fluido e spirito autoironico, per cui già questa raccolta vale il prezzo del libro (gratuito per volere dell’autore, ma sono certo che presto partiranno le aste sui ebay o sui social…). Però la vera perla del libro per me è stata la scoperta dell’amore universale, che pervade ogni pagina e quindi evidentemente fa parte dell’anima dell’autore, che riesce a non far odiare fascisti e stronzi vari, grazie al suo sguardo che riassume il valore cristiano dell’amore verso il prossimo (anche se fascista) e il principio buddista della gentilezza e delle compassione per tutti gli esseri viventi, animali (e stronzi) compresi.
L’autore riesce a trovare il buono in ogni essere umano, anche nel più spregevole, dimostrando una tale empatia per i personaggi descritti che una superficiale lettura psicoanalitica potrebbe scambiarla per un tentativo di autoassoluzione, tale è il contrasto e la continua contaminazione tra alto e basso che pervade tutto il libro, spaziando in modo apparentemente incoerente tra i Clash e De Luca, tra Allen Ginsberg e Italo Grasso.

ANCHE GIUDA AVEVA AMICI IRREPRENSIBILI (cit. Marcello Marchesi)

Paolo Bargagli ha appreso perfettamente la lezione Dwight Macdonald (Masscult e Midcult, 1960, commentato da Umberto Eco), che aveva segnalato il superamento del concetto di Cultura Alta (noi la chiameremmo “radical chic”) e Cultura Bassa (che oggi chiamiamo “pop“), sottolineando che “non esiste un Unico Grande Pubblico, ma piuttosto una serie di pubblici più piccoli e specializzati”. Il libro di Paolo Bargagli è l’espressione di quella che Jenkins chiama “Cultura convergente“, perchè realizza la cosiddetta “economia affettiva”, basata sul fatto che tra le ragioni che più spingono le persone a partecipare e creare c’è il legame affettivo verso una community di riferimento (quella del ping pong).
In effetti solo un profondo senso dell’amicizia può spiegare l’affetto di Paolo Bargagli per un compagno che ruba le mutande nello spogliatoio (Giontella) o per un fascista conclamato e inveterato, che acquistava illegalmente da una nana ormoni per pomparsi i muscoli da culturista (Maietti).
Queste descrizioni, apparentemente surreali e quasi dadaiste, sono in realtà precise, dettagliate e storicamente dimostrate, tanto che si può tranquillamente parlare di letteratura neorealista e di verismo, nel cui filone Paolo Bargagli si inserisce perfettamente, ulteriore dimostrazione della sapiente miscela tra alto e basso, che l’autore dimostra di maneggiare con maestria.

UNA LEZIONE PERSONALE

Confesso che al termine della lettura mi è rimasta, oltre all’ammirazione per l’autore, un po’ di invidia, perchè vorrei avere il suo stesso sguardo buddista e provare la necessaria compassione e gentilezza verso Cicchitti e Maccabiani, che hanno tentato di sabotare il Bat tester e la campagna “Io gioco pulito”: forse ci riuscirò nella prossima reincarnazione…
Comunque d’ora in poi prometto che sarò più comprensivo nei confronti di megalomani, ladri, petomani, fallocrati, cocainomani e machi di periferia! (con i fascisti non ce la posso proprio fare…).

APPENDICE: LA COPERTINA E’ LA CHIAVE DI LETTURA DEL LIBRO

Se Paolo Bargagli non me l’avesse detto, non avrei mai capito che la scelta della copertina del suo libro è dovuta al fatto che il quadro “Senecio” dell’astrattista Paul Klee, gli ricorda una racchetta da ping pong!!!
Ora, che un autore eclettico come Paolo Bargagli ami l’astrattismo di Klee non è una sorpresa, ma che nel quadro lui abbia visto l’arnese che ha impugnato per anni (e che ha abbandonato, forse definitivamente) si presta a un’analisi più approfondita, che solo un’esperta d’arte come.
“Senecio, dal latino senex, può significare vecchio, anziano, ma in botanica indica anche un genere che comprende una molteplice varietà di piante. Quella pianta di cui Klee si sentiva il tronco, quell’albero simbolico che rappresenta il ruolo dell’artista come mediatore tra il corporeo e lo spirituale, tra l’uomo e il mondo; quell’albero che, fonte di vita e rinnovamento, diviene  nella sua debole, flessibile e curiosa apertura all’esistenza simbolo del Puer (in latino ragazzo, ndr).
Una figura possente si impone al nostro sguardo emergendo dallo sfondo, ma che sembra essere sul punto di riconnettersi alla materia pastosa e sfumata da cui proviene e che lo comprende. Un corpo solido e fermo che sembra, al contempo, indicare un appena percettibile movimento rotatorio della testa rotondeggiante e smisurata, forse solo appoggiata e non fissata al tronco del collo. E pare di avvertire il contrasto tra l’equilibrio instabile della testa e l’immobilità costretta del tronco e delle spalle ad indicare un possibile invito a mantenere una continua mobilità dello sguardo e un «punto di vista vagante» e mutevole (Barison, 2011, p. 140),  oppure anche un invito ad arrestare momentaneamente il fare produttivo e incessante per ritrovare il tempo del riposo, della contemplazione, della rêverie, di una condizione sognante e poetante tra la veglia e il sonno che ci consenta di riscoprire il grande tesoro dell’infanzia (Bachelard, 1993). Quella condizione di «beata solitudine» (Zolla, 2002, p. 17) in cui il bambino partecipa integralmente di quanto lo circonda lasciandosene incantare e cogliendo la realtà nella sua totalità senza ordinare, ripartire, giudicare.” (i neretti sono opera del redattore).

Non so quanto sia stata consapevole la scelta di questa immagine per la copertina, ma sono certo che l’autore in questo libro abbia espresso pienamente il contrasto tra il suo equilibrio instabile e la necessità di mantenere un punto di vista vagante, lasciandosi andare all’incanto infantile dello sguardo che non ordina, nè giudica.

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