Capita sempre più spesso di trovare in panchina allenatori che insultano o minacciano i propri giocatori (in genere minorenni) quando sbagliano un topspin o non eseguono alla perfezione gli ordini, convinti che i cattivi vincono di più.
In genere fanno parte delle stesse società che in questo periodo vanno a caccia di giocatori altrui, adulandoli e promettendogli radiosi futuri. I primi ad essere incantati da questi metodi sono i genitori, convinti che un sergente dei marines sia la persona giusta per far diventare i propri figli vincenti e quindi uomini di successo.
Pier Offredi
Serve una cattiva persona per fare un buon atleta?
Leggendo Open, la biografia del tennista Andrè Agassi, costretto ad allenarsi sin da quando aveva quattro anni da un padre tirannico, si può creare un equivoco. Agassi è cresciuto come un disadattato ed è rimasto per anni in bilico tra la tendenza all’autodistruzione e la ricerca della perfezione: dato che a lui è andata bene, si potrebbe pensare che valga la pena di rischiare, perchè i cattivi vincono di più (è guadagnano di più…).
Anche nel tennistavolo abbiamo dei fans del sergente maggiore Hartman, il mastino del film Full Metal Jacket, che chiamava “palla di lardo” la sua vittima preferita. I suoi cloni si riconoscono dallo sguardo e dai modi perennemente incazzati, convinti di dover insegnare la cattiveria necessaria per stroncare gli avversari, con qualsiasi mezzo.
In genere si atteggiano come guru e maestri di vita, oltre che di tecnica pongistica. Tra i loro fedeli non ci sono soltanto giovani ansiosi di diventare campioni, ma anche mamme adoranti e papà frustrati dai loro insuccessi esistenziali, che tentano di avere una rivincita riflettendosi nei successi dei figli, che si estinguono quasi sempre in pochi anni, quando però il danno è stato ormai fatto
Il fine giustifica i mezzi?
Se lo chiede Sabrina B. Little nel libro “La corsa esaminata: perché le brave persone creano corridori migliori”. In effetti molti atleti che scelgono il doping (o il taroccamento delle gomme nel caso del ping pong) pur di migliorare le proprie prestazioni si sono già dati una risposta: i cattivi (fregando) spesso vincono di più, almeno fino a quando vengono beccati.
Secondo l’autrice, quando manca il disperato bisogno di vincere a qualunque costo, si vive meglio la vita di tutti i giorni, ma diminuiscono le prestazioni.
Nella sua esperienza di runner di alto livello, ci sono “vizi” che migliorano i risultati: si tratta di difetti di carattere dannosi per una vita serena e ordinata, che aiutano però a diventare uno sportivo di maggior successo: la disonestà, l’egoismo, l’orgoglio, l’intransigenza e l’invidia migliorano le prestazioni, ma rendono più difficili le relazioni umane.
La superbia e il disprezzo per gli altri
L’orgoglio, che spesso sconfina nell’arroganza e nell’insolenza, può essere un carburante per le performance, ma fa commettere due errori. Lo sportivo orgoglioso si sente più capace di quanto non sia in realtà e si crede superiore agli altri, per cui dà ogni priorità a se stesso.
Mentre però il primo errore può far diminuire le prestazioni (insistere in un colpo soltanto perché ci si crede aumenta gli errori), il secondo può migliorarle. Sopravvalutarsi può spingere ad impegnarsi a fondo nel tutelare la propria reputazione e dato che il più grande segreto dell’orgoglio è che è sempre in pericolo, bisogna sempre dimostrare di essere il migliore, dando più motivazioni a lottare per la gloria.
Persino l’invidia può spingere a evitare l’inaccettabile prospettiva di essere sconfitto da qualcun altro, arrivando a sminuire le capacità degli avversari.
I vizi umani sono virtù sportive?
Invidia, arroganza e disprezzo per gli altri nella vita sono difetti che peggiorano i nostri rapporti umani: per essere ottimi atleti bisogna quindi essere delle pessime persone, visto che spesso i cattivi vincono di più?
Già Macchiavelli consigliava di utilizzare i vizi almeno quanto le virtù e il protagonista del film Wall Street applicava negli affari la massima «greed is good» (l’avidità è una buona cosa), quindi non c’è da stupirsi se qualche allenatore pratica e suggerisce la cattiveria ai propri atleti.
In effetti lo sport ci forma, nel bene e nel male. Non sviluppa solo le nostre capacità aerobiche e muscolari, ma coinvolge il nostro carattere, influisce su come relazionarci con gli altri mentre ci sforziamo di vincere, modella le nostre abitudini e le risposte emotive.
Per questo motivo, secondo Little, chi pratica sport, anche ai più alti livelli agonistici, dovrebbe seguire la lezione di Tommaso d’Aquino sulla «magnanimità virtuosa», la grandezza d’animo che riconosce il nostro dipendere dagli altri, perchè un atleta è anche un vicino, un genitore, un cittadino e un amico: tutti pagano i costi del cattivo carattere di un atleta.
Nuovi modelli
Sembrano arrivati da altri pianeti atleti come i nostri tennisti Jannik Sinner e Jasmine Paolini, oppure il ciclista sloveno Tadej Pogacar: gentili, educati e sorridenti, anche quando perdono. Non litigano con gli avversari, non li sbeffeggiano, il loro tratto distintivo è l’umiltà: sarebbe interessante sapere qual è stato il loro percorso formativo e chi sono stati i loro allenatori.
Sappiamo invece con precisione chi sono gli allenatori che bullizzano i loro giovani atleti nel tennistavolo e avremo modo tra qualche anno di valutarne le prestazioni, per vedere se è vero che “I cattivi vincono di più”!
Detto ciò e dopo decenni di depressione pongistica e senza nessuna possibilità di miglioramento mi viene da dire .Ragazzi se per caso vi viene proposto il ping pong italiano (solo così possiamo chiamarlo) non accettate cambiate sport.
Se avete talento lo potete esprimere anche in altri sport .